2 NOVEMBRE

Un tempo a Milano la visita annuale al Monumentale il 2 novembre era un rito irrinunciabile non solo per la borghesia che aveva lì le sue cappelle di famiglia e i suoi monumenti ma per tutta la città, anche per chi ne era escluso per nascita o per censo e che partecipava più per curiosità che per cordoglio.

Nel 1863, a due anni dall’Unità d’Italia, Carlo Maciachini da Induno Olona, aveva vinto, già quarantacinquenne e appena diplomato in Ornato a Brera, il concorso per costruirlo e l’aveva concepito come un giardino del sei-settecento con promenades alberate, aiuole, rialzati, piazzette, fontanelle, collocando all’ingresso una impressionante costruzione in stile romanico-pisano simile a un palazzo rinascimentale con una scalinata di accesso alta cinque metri e una corte d’onore e collegata alla città da un viale di cui doveva costituire il traguardo prospettico.

All’interno di questo edificio, chiamato con un termine coniato appositamente Famedio, dal latino “fama” e “aedes”, quindi tempio della fama, avrebbero trovato posto allora e in futuro i cittadini considerati, secondo i criteri di un apposito regolamento del 1884, degni di passare alla storia divisi tra "illustri" per meriti letterari, artistici, scientifici o per atti insigni, "benemeriti" che per "virtù proprie" hanno recato benefici o fama alla città e i "distinti nella storia patria" che hanno contribuito all'evoluzione nazionale.

Non è però mai stato necessario esservi inumati per essere menzionati, così che molti personaggi sepolti in altre parti del Cimitero o addirittura in altre città, come Verdi, Mazzini e Garibaldi, sono comunque ricordati qui.

Salone centrale del Famedio

Salone centrale del Famedio con sepolcro di Luca Beltrami


Il Pantheon degli uomini famosi era già stata un’idea di Napoleone, che aveva scelto come sede la Rotonda di via Besana, nata come cimitero - allora si chiamavano foppe - dell’Ospedale Maggiore, ma il suo declino aveva interrotto il progetto.

Una visita al Monumentale è dunque un viaggio attraverso la storia italiana in tutti i campi dello scibile e delle attività umane, da Alessandro Manzoni e Carlo Cattaneo a Michele Sindona, da Giorgio Gaber a Wanda Osiris, da Francesco Hayez a Remo Birolli, da Tommaso Filippo Marinetti a Alda Merini, passando per Filippo Turati e Anna Kuliscioff, il Pret de Ratanà, Jole Veneziani, Herbert Kilpin e via elencando, tra sfingi, angeli di tutti i tipi, scene bibliche, arcangeli e maddalene, garibaldini e militi ignoti, bambini nei loro patetici abitini della festa, signore vestite da sera o da caccia a cavallo, mietitori e contadini all’aratro.

E simbologie di tutti i tipi. Dal gallo alla civetta, dalla capsula dell’oppio al melograno, dalla clessidra alata al delta massonico, dalla porta socchiusa sull’oltretomba, alla scala per raggiungere la luce eterna.

Clessidra alata

Clessidra alata

Tra i santi Francesco è il più gettonato. Mentre parla con gli uccellini nella piana di Spoleto o mentre ammansisce il feroce lupo di Gubbio.
Magnifiche le Maternità, le allegorie di anime trasportate in cielo, le carole di putti che giocano in letizia.
Struggenti le disperazioni senza speranza, gli ultimi baci, i piccoli defunti rapiti da angeli crudeli.


Ultimo bacio

Ultimo bacio

Interessanti le scene di lavoro di fornai, mietitori, seminatori, operai e piccoli spazzacamini.

Gli artisti poi…da Medardo Rosso e tutta la banda dei simpaticissimi e stravaganti “Scapigliati” ad Adolfo Wildt, da Ernesto Bazzaro a Leonardo Bistolfi, da Lucio Fontana a Francesco Messina, da Fausto Melotti a Giò Pomodoro.

Non mancano certo gli architetti che sono gli stessi che hanno lavorato in città, gli ottocenteschi Luca Beltrami e Luca Conconi, i quattro cavalieri dello studio BBPR, i razionalisti Giò Ponti, Pietro Portaluppi, Luigi Figini e Gino Pollini, padre del grande Maurizio. E i grandi artigiani-artisti, come Alessandro Mazzucottelli, il “re” del ferro battuto che ha riempito Milano di meravigliosi balconi e portali.

Che dire poi della varietà delle forme e delle dimensioni delle cappelle di famiglia? E che famiglie! Bocconi, Erba, Toscanini, Crespi, Motta, Rizzoli, Mondadori, Alemagna, Feltrinelli, Pirelli, Sonzogno, Bernocchi. E non sono certo tutte.

Si salta dalle piramidi ai templi greci, dal neogotico al neobizantino, dal quattrocento lombardo al modernista, dall’eclettico al Liberty e al Novecento.

E non finisce qui perché troviamo anche poi mausolei bramanteschi e copie della Cappella Pazzi o della tomba di Galla Placidia, Tholos preistorici e imitazioni del Duomo di Milano.

Tutto questo in 260.000 metri quadrati, una vera e propria “città dei morti”, parallela a quella dei vivi come la Laudomia di cui scrisse Calvino ne “Le città invisibili”.

E Dino Buzzati, che milanese non era, era un patito di questo luogo dove aveva dato il primo appuntamento alla fidanzatina che divenne sua moglie. Nel bellissimo e sarcastico racconto Week End, che fa parte della raccolta “Il Colombre”, invita tutti milanesi a visitare il Cimitero invece di andare al mare e sfotte bonariamente “i grandi della Milano industriale, i potenti, i temuti, i leggendari, gli infaticabili che tutte le mattine dell’anno alle sette precise davano l’esempio e ora dormono finalmente...mai sono stati così soli.”

Ogni anno 70.000 turisti vengono in visita, subito dopo il Duomo e prima ancora di essere andati al Cenacolo.

I milanesi invece conoscono poco questo tesoro, così come in generale, conoscono poco la loro splendida città che custodisce tesori strepitosi ma li tiene un po’ nascosti e non li espone sfacciatamente come le vanitose e fulgide città d’arte.
La cosa migliore è camminare per i viali soffermandosi su quello che attira lo sguardo, seguendo l’istinto e la fantasia. Di bighellonare, quasi...flâner, direbbero Charles Baudelaire e Walter Benjamin.

E di interrogare le opere, che risponderanno con generosità, osservandole con attenzione e curiosità, girando loro intorno, scrutando i dettagli, guardandole da diversi punti di vista, cercando le firme nascoste.
E leggendo le epigrafi, anche queste un tesoro da svelare, che susciteranno riflessioni escatologiche. A volte il loro significato sarà palese, altre volte oscuro, ma mai insignificante. Un messaggio arriverà sempre al cuore.

Dettaglio epigrafe


Ecco, forse il 2 novembre non è la data giusta per una visita a questo “Museo a cielo aperto”, così definito come altri cimiteri monumentali europei tra cui il Père Lachaise a Parigi, Staglieno a Genova, il Verano a Roma, i cimiteri di Barcellona, Berlino, Bologna, Copenaghen, Londra, Lubjana, Oslo e Stoccolma, perché quel giorno la totalità o quasi delle persone sarà lì per visitare i loro cari intenti nella foscoliana “corrispondenza d'amorosi sensi” (Dei Sepolcri,versetto 29) e non è certo il caso di disturbarli proprio in quei momenti, ma in qualsiasi altro giorno dell’anno è possibile intraprendere un viaggio in questo luogo che non ha nulla di triste, di macabro o di desolante.

Ci sarebbe poi da raccontare del Tempio Crematorio, il primo in Italia, inaugurato sotto la neve nel 1876 e frutto del positivismo e della fiducia nella scienza dell’epoca, pare finanziato dalla massoneria attraverso Alberto Keller, facoltoso industriale della seta, le cui ceneri si trovano nel Cimitero degli Acattolici, inserito, come quello degli Israeliti, nel progetto originale del Monumentale da Carlo Maciachini, laico e positivista pure lui.

E non bisogna dimenticare di cercare il cortile delle sculture dimenticate, che è segreto ed è perciò proibito svelare dove sia.

"Delle cose di cui non si può parlare si deve infatti tacere", come scrisse Ludovico Wittgenstein.

Giardino delle sculture dimenticate

 

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